sabato 12 luglio 2008

Julia 118 Sognare, forse morire - di Berardi Mantero e Zuccheri

Ho iniziato a seguire Julia intorno al 2004, quando Sergio me ne consigliò la lettura a uso didattico come ottimo esempio di sceneggiature da leggere, smontare e studiare. Ho iniziato a seguire la serie per questi motivi ma se mi sono comprato le raccolte e i gli arretrati per tappare i buchi e se ogni mese lo acquisto, è perché protagonista, comprimari e storie narrate da Berardi e soci mi emozionano (quasi) a ogni uscita.

E veniamo così a Sognare, forse morire, il numero che trovate in edicola questo mese che promette robe belle e intriganti fin dalla copertina che trovate qui sotto:

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Dopo tutto se un gorilla azzurro non vi mette già in pace con il mondo, allora non so davvero che dirvi.

Se seguite la serie già sapete che Julia, criminologa e consulente della polizia, tende a godersi 3-4 tavole di incubi da cui si sveglia di soprassalto in ogni numero, sequenze che spesso hanno a che fare in qualche modo con il caso del mese o con il suo vissuto emotivo. E se non lo sapevate, sapevatelo.

Clicca per una dimensione da incubo

Berardi e Mantero decidono di prendere questo tormentone della serie e renderlo il fulcro dell'intera storia spingendo su sequenze oniriche lunghe e complesse che si rincorrono lungo il numero. A rincorrersi sono anche i personaggi dei sogni che vivono di vita propria saltando dall'inconscio di Julia a quello di altri protagonisti e vice versa.

Clicca il gorilla blue

Ad affascinare è l'atmosfera delle sequenze oniriche che trasmettono la sensazione di straniamento di Julia che, se pur abituata a districarsi tra sogni, inconsci e menti complesse e complicate, fatica a mantenere il controllo della situazione, sembrando quasi intenzionata a non lasciare più la landa del sogno.

Julia, la serie, è un poliziesco che viaggia attraverso tutte le sfumature del giallo e del nero sfiorando altri generi, horror e sovrannaturale compreso, senza però sfondare mai le barriere tra di essi. Come rendere credibili dei sogni che vivono di vita propria senza perdere di vista il realismo? La risposta è semplice:

Winners dont click drugs!

Droga!

Clicca per sognare
E la macchina dei sogni, o una specie.

Ma sono gli allucinogeni a rendere credibili le apparizioni dei sogni al di fuori del sonno e la perdita di inibizioni che porta a Julia ad agire in maniera impulsiva e sempre più euforica lungo la storia. La stessa risoluzione del caso appare più figlia del delirio cui Julia si sottopone volontariamente, tentando per una volta la strada già percorsa da Holmes, che della sua mente razionale con cui affronta solitamente vita e indagini.

E se per una volta la risoluzione non appare perfetta o del tutto possibile poco importa, perché il viaggio è stato oltremodo soddisfacente.

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Come potete vedere dalle immagini, i disegni di Laura Zuccheri riescono nel non facile compito di rimanere fedeli al canone rigoroso della serie e al contempo donare alle tavole quel tocco di sogno e visione necessari alla riuscita della storia.

Personalmente credo che la storia avrebbe fatto faville a colori ed essere un numero 100 con tutti i crismi, ma già così è decisamente la miglior lettura della settimana.

Le immagini sono tratte da Julia 118, tutti i diritti sono della Bonelli e dei rispettivi autori.

4 commenti:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

Devo ancora leggerlo, ma ne ho sentito dire molto bene, come uno dei numeri più interessanti tra gli ultimi, quando non addirittura di tutta la serie.
Di certo c'è la sestupla che mostri anche tu: inedita - mi pare - in Julia una splash page.
S.

Bapho aka Davide Costa ha detto...

A memoria pare anche a me sia la prima splashpage, ho giusto il dubbio che ve ne sia una ne Il grande mare d'erba, ma forse era una quadrupla.

Quando lo hai letto fammi sapere che te ne pare.

Anonimo ha detto...

Mi pare che Mastro Berardi abbia voluto "Napoleonizzare" la sua eroina. Ottimo risultato: convincente e non banale. D'altronde, se non ricordo male, lui e Ambrosini avevano già collaborato ai tempi di Ken Parker.
Mirko