lunedì 26 marzo 2012

Lisa Bufano is mentally fine

All’età di 21 anni Lisa subisce l’amputazione delle gambe sotto il ginocchio e la perdita di tutte le dita di entrambe le mani.


Non c'è trucco non c'è inganno
Nata nel 1978 Lisa diventa una ginnasta da ragazzina e durante il college si appassiona alla danza diventando una Go-go Dancer. Sono evidentemente passioni più forti di qualsiasi cosa, se nemmeno le amputazioni subite a causa di un’infezione batterica molto grave l’hanno fermata.



Negli anni successivi continua il suo percorso di ballerina e artista. Invece di nascondere la propria invalidità e mutilazione, mostra le sue parti mancanti in spettacoli danzanti di varia natura. In Five Open Mouths racconta l’esperienza traumatica del risveglio successivo alle amputazioni, sottolineando lo shock subito e il tentativo di metabolizzarlo e superarlo. Questo percorso di riconquista del proprio corpo la porta a usarlo come fosse una vera e propria prop di scena. Esempio perfetto è l’uso di protesi inconsuete, come le gambe da tavolo d’epoca vittoriana che usa per le gambe e per le braccia. Il risultato è allo stesso tempo disturbante in questa commistione tra carne e legno, ma dona anche in un certo fascino ai movimenti dal ritmo poco umano a cui è costretta.


Mostrare la propria condizione allo spettatore, rendendola così evidente da non poter essere ignorata, crea disagio e curiosità in buona parte del pubblico. Mutilazione, malattia e in generale tutto quanto non rientra nel canonico senso della normalità vengono recepiti come qualcosa di sbagliato, da nascondere e di cui provare vergogna. Lisa decide invece di sfruttarla come punto di partenza per le proprie performance. Quando si rinchiude in una teca trasparente armata delle proprie protesi e danza senza musica con movimenti tra l’insetto e l’umano, si mostra ai passanti di una normale strada. Potete vedere il video di questa performance qui. Un collaboratore riprende lei ma soprattutto alcuni spettatori di passaggio. Una signora chiede “Is that a person?” E dopo qualche secondo “But mentally she’s fine?”.



Due domande che credo decretino il successo della performance e più in generale del percorso che Lisa sta seguendo. Quando il corpo di una persona cessa di essere incasellabile senza problemi in quanto percepiamo come normale e congruo, sembra che di conseguenza crollino anche l’umanità e la sanità mentale della persona. Da qui la necessità per chi si trova a non possedere più il proprio corpo di studiare se stesso e l’effetto che la propria immagine provoca negli altri.



In un altro video Lisa (clicca qua che te lo apre in un'altra finestra), indossate le protesi e accompagna da musica, balla in maniera lenta e sensuale. Questa volta le reazioni mi sembrano diverse. Sarà la musica, sarà il contatto che instaura fissando gli spettatori che la fissano o il fatto che si tratti di una performance all'interno di uno spazio canonico, ma mi pare siano più affascinati e meno repulsi dal suo corpo. E non mi stupirei se alcuni non si rendessero del tutto conto delle mutilazioni di lei. 



Attualmente Lisa sta preparando un nuovo spettacolo, questa volta incentrato sulla Lyra. Come vedete nella foto qua sotto si tratta di un cerchio da acrobata. Fatico a immaginare in che modo riuscirà a dominare la lyra e il suo corpo, so solo che non vedo l’ora che spunti un suo video in cui si mostra e dimostra di non mollare mai.



Qua trovate il suo sito ufficiale.

martedì 6 marzo 2012

50/50 - Joseph Gordon Levitt & Seth Rogen contro Il Cancro




Credo che il significato di una storia stia tanto nella mente di chi la crea quanto in quella di chi la ascolta. Tanto più la storia tocca temi cari a narratore e ascoltatore, tanto più vale questo principio, tanto più saranno diverse le impressioni suscitate. 



Inutile girarci intorno.
In 50/50 il protagonista interpretato da Levitt è un quasi 30enne a cui viene diagnosticato un tumore. Il titolo si riferisce alle sue probabilità di farcela. Il film è stato scritto da uno che ci è passato sul serio. Seth Rogen, che nel film è l'amico del protagonista, è amico di quello che il film lo ha scritto e a quanto pare interpreta fondamentalmente se stesso.
GI Jane te lo sgrulla, amico.
Con queste premesse, io e chi come me si è sentito diagnosticare un cancro recepiamo un film del genere in maniera penso diversa da chi non ha mai avuto un problema del genere. Allo stesso modo sono convinto che chi conosce una persona che ci è passata attraverso, si tratti di amico, figlio, genitore o persona amata, la veda in maniera ancora differente.
Frasi da non dire mai a chi ha il cancro.
Tutto sto preambolo per dire che credo di non poter essere molto obiettivo dicendovi che 50/50 è un bel film. Per me è semplicemente un film che racconta buona parte di cose che mi sono successe, e spesso lo fa con lo stesso tono che userei io se dovessi raccontarle in un film.
Bromance.
In particolare credo riesca a far passare bene lo stato di stordimento in cui ci si trova nel periodo che va dalla prima diagnosi al momento in cui si entra in sala operatoria, che è il focus dell'intero film. E' una sorta di limbo in cui se da una parte si prova una certa calma e perfetta percezione di quanto accade a se stessi e intorno a noi, dall'altra ci si sente del tutto sconnessi e isolati dal resto. Convivendo con quello che è al contempo un dubbio e una certezza di stare per morire, si perde l'idea che ci sia un senso nelle proprie azioni e che valga la pena fare alcunché. I rapporti sociali e famigliari si sfilacciano, il sentirsi parte del mondo dei vivi è una sensazione che si fa giorno dopo giorno meno sicura.
"I don’t know why everybody’s so fucking scared to just say it, like, ‘you’re dying, dude.’ It makes it worse, that no one will just say it.”
Ad esempio la sequenza in cui Levitt, convinto da Rogen, sfrutta il cancro per portarsi a letto una ragazza appena conosciuta, mi sembra un ottimo esempio di questo senso di insensatezza e vuoto. Nonostante riesca a finire a letto con lei, i due smettono di fare sesso a causa della stanchezza e dei dolori di lui indotti dalla chemio e dalla malattia. Ma considerando quello che dice e il modo in cui reagisce Levitt prima e dopo, pare di capire che sfrutti di nuovo la malattia come scusa. Questa volta per non dover ammettere che non vedendosi vivo da li a poco, una scopata e via ed un’eventuale relazione perdono di senso.

Rule 34 a parte, si intende.
Ma come dicevo in apertura, magari sono io che vedo troppe cose mie nella storia di un altro. Ogni persona reagisce in maniera diversa di fronte ad eventi traumatici, per cui altri possono considerare il film una cagata fotonica. Non c'è problema. Si tratta di reazioni così personali che discuterne perde di senso.

Detto questo, penso che comunque il film goda di interpretazioni molto buone soprattutto da parte di Levitt e Rogen. Quest'ultimo in particolare riesce a dire le sue battute atroci con il tono giusto che gli permette di far ridere senza sfociare nel ridicolo o nel forzato. E nonostante si percepisca la profonda amicizia che c'è tra i due, questa viene fuori dalle azioni e reazioni di uno nei confronti dell'altro invece che da momenti di stucchevole buonismo.

Certo, ci sono scampoli di cliché come i vecchietti arzilli che Levitt conosce durante la chemio, o la storia d'amore con la terapista che nasce durante la malattia e che intuiamo potrebbe funzionare una volta conclusosi il film. Si tratta di cliché gestiti abbastanza bene e risultano discretamente convincenti, grazie soprattutto a dialoghi che evitano quasi sempre frasi fatte e di circostanza e a situazioni che fanno più intuire che mostrare quello che pensa e prova il protagonista.
:iknowthefeelbro:
Di sicuro pecca nel rappresentare come al solito la malattia in maniera troppo pulita e asettica, con malati che sembrano sempre appena usciti dalla sala trucco, ferite perfette e totale assenza di sangue e merda.

Ma lo scopo del film non è mostrare quanto faccia schifo dal punto di vista fisico/fisiologico e possa essere ripugnante la malattia, per cui posso passarci sopra. Anche perché si riscatta evitando pietismo, scene strappalacrime (anche se un paio toccanti ci sono, ma di nuovo magari toccano me perché innestano ricordi) e non lesinando in umorismo.
A volte bisogna sentirselo dire.
Non è il film che consiglierei per una serata in allegria, ma se l’argomento per un qualsiasi motivo è di vostro interesse, potreste trovarci qualcosa di significativo.

giovedì 1 marzo 2012

Corso di sceneggiatura a Genova

Settimana prossima parte la quarta edizione di Professione Sceneggiatore, il corso di narrazione tenuto da Sergio Badino.

Si tiene all'Accademia Ligustica e avete tempo per iscrivervi fino al 6 marzo, giorno d'inizio corso. Qua tutte le info.

Premesso che io e Sergio ci conosciamo da anni e che condividiamo lo stesso studio da qualche tempo, spendo due parole sul corso. Io l'ho seguito per tre anni di fila, per vari motivi.

Il primo anno avevo bisogno di rimettermi in moto dopo il periodo di malattia e ho pensato che un corso fosse uno sprone a ricominciare a fare. Perché scrivere è un'attività anche fisica. Così è stato, perché Sergio ha un approccio molto pratico alla scrittura. Si analizzano storie più o meno note per capire come funzionano, si studiano i principi della narrazione e soprattutto si scrive. Molto. Da una lezione all'altra c'è sempre un compito a casa da ideare, elucubrare e scrivere. Volendo sfruttare bene il corso, tocca prendere un ritmo costante alla tastiera, cosa che io avevo perso.

La pratica della scrittura è uno dei mattoni fondanti per chiunque voglia scrivere per lavoro. Questo martellare sulla pratica e sulla consegna dei compiti a casa di Sergio è stato ottimo per il sottoscritto.

Durante il corso inoltre ho avuto anche la fortuna di conoscere un po' di persone interessanti che amano la scrittura e con cui scambiare pareri sui propri lavori. Ed è un motivo in più per cui mi sono iscritto la seconda volta. Sentivo la necessità di mettermi in gioco con altri scrittori per imparare sia a scrivere meglio sia a saper discutere con sconosciuti del mio lavoro e del loro. Nel corso del corso ( heh ) si instaura una dialettica che ho trovato molto stimolante e utile. Si accumulano spunti, suggestioni e influenze che arricchiscono, non solo dal punto di vista professionale.

Inoltre durante secondo anno sono stato piacevolmente colpito da una cosa: Sergio ha rivisto e ricalibrato il corso mettendoci qualcosa di nuovo. Se la teoria si fonda su determinati principi che rimangono gli stessi, a cambiare sono gli esempi studiati per capire questi prinicpi. Per cui da un anno all'altro mi sono trovato a rivedere e smontare film diversi, a conoscere autori nuovi e soprattutto a dover fare compiti a casa radicalmente diversi dall'anno precedente. Credo sia un ottimo metodo per non rimanere fossilizzati sui propri orizzonti e provare a guardare più in là, che magari si scopre qualcosa che ci piace.

Motivo nuovo e foriero di cose interessanti per cui mi sono iscritto una terza volta, l'anno scorso. E sono convinto di aver fatto bene, perché ancora una volta ho conosciuto gente interessante con cui scambiare opinioni, ancora una volta Sergio ha fatto cose nuove che mi hanno fatto conoscere nuoti autori e nuove storie e ancora una volta ho dovuto fare un sacco di compiti, che mi hanno costretto a scrivere cose diverse dal solito facendomi usare stili e tecniche che non avevo mai provato. In sostanza, ogni anno mi sono trovato alla fine del corso più arricchito che all'inizio.

Per cui se vi interessa imparare a raccontare e avete voglia di mettervi in gioco, l'occasione è secondo me ghiotta.