martedì 6 marzo 2012

50/50 - Joseph Gordon Levitt & Seth Rogen contro Il Cancro




Credo che il significato di una storia stia tanto nella mente di chi la crea quanto in quella di chi la ascolta. Tanto più la storia tocca temi cari a narratore e ascoltatore, tanto più vale questo principio, tanto più saranno diverse le impressioni suscitate. 



Inutile girarci intorno.
In 50/50 il protagonista interpretato da Levitt è un quasi 30enne a cui viene diagnosticato un tumore. Il titolo si riferisce alle sue probabilità di farcela. Il film è stato scritto da uno che ci è passato sul serio. Seth Rogen, che nel film è l'amico del protagonista, è amico di quello che il film lo ha scritto e a quanto pare interpreta fondamentalmente se stesso.
GI Jane te lo sgrulla, amico.
Con queste premesse, io e chi come me si è sentito diagnosticare un cancro recepiamo un film del genere in maniera penso diversa da chi non ha mai avuto un problema del genere. Allo stesso modo sono convinto che chi conosce una persona che ci è passata attraverso, si tratti di amico, figlio, genitore o persona amata, la veda in maniera ancora differente.
Frasi da non dire mai a chi ha il cancro.
Tutto sto preambolo per dire che credo di non poter essere molto obiettivo dicendovi che 50/50 è un bel film. Per me è semplicemente un film che racconta buona parte di cose che mi sono successe, e spesso lo fa con lo stesso tono che userei io se dovessi raccontarle in un film.
Bromance.
In particolare credo riesca a far passare bene lo stato di stordimento in cui ci si trova nel periodo che va dalla prima diagnosi al momento in cui si entra in sala operatoria, che è il focus dell'intero film. E' una sorta di limbo in cui se da una parte si prova una certa calma e perfetta percezione di quanto accade a se stessi e intorno a noi, dall'altra ci si sente del tutto sconnessi e isolati dal resto. Convivendo con quello che è al contempo un dubbio e una certezza di stare per morire, si perde l'idea che ci sia un senso nelle proprie azioni e che valga la pena fare alcunché. I rapporti sociali e famigliari si sfilacciano, il sentirsi parte del mondo dei vivi è una sensazione che si fa giorno dopo giorno meno sicura.
"I don’t know why everybody’s so fucking scared to just say it, like, ‘you’re dying, dude.’ It makes it worse, that no one will just say it.”
Ad esempio la sequenza in cui Levitt, convinto da Rogen, sfrutta il cancro per portarsi a letto una ragazza appena conosciuta, mi sembra un ottimo esempio di questo senso di insensatezza e vuoto. Nonostante riesca a finire a letto con lei, i due smettono di fare sesso a causa della stanchezza e dei dolori di lui indotti dalla chemio e dalla malattia. Ma considerando quello che dice e il modo in cui reagisce Levitt prima e dopo, pare di capire che sfrutti di nuovo la malattia come scusa. Questa volta per non dover ammettere che non vedendosi vivo da li a poco, una scopata e via ed un’eventuale relazione perdono di senso.

Rule 34 a parte, si intende.
Ma come dicevo in apertura, magari sono io che vedo troppe cose mie nella storia di un altro. Ogni persona reagisce in maniera diversa di fronte ad eventi traumatici, per cui altri possono considerare il film una cagata fotonica. Non c'è problema. Si tratta di reazioni così personali che discuterne perde di senso.

Detto questo, penso che comunque il film goda di interpretazioni molto buone soprattutto da parte di Levitt e Rogen. Quest'ultimo in particolare riesce a dire le sue battute atroci con il tono giusto che gli permette di far ridere senza sfociare nel ridicolo o nel forzato. E nonostante si percepisca la profonda amicizia che c'è tra i due, questa viene fuori dalle azioni e reazioni di uno nei confronti dell'altro invece che da momenti di stucchevole buonismo.

Certo, ci sono scampoli di cliché come i vecchietti arzilli che Levitt conosce durante la chemio, o la storia d'amore con la terapista che nasce durante la malattia e che intuiamo potrebbe funzionare una volta conclusosi il film. Si tratta di cliché gestiti abbastanza bene e risultano discretamente convincenti, grazie soprattutto a dialoghi che evitano quasi sempre frasi fatte e di circostanza e a situazioni che fanno più intuire che mostrare quello che pensa e prova il protagonista.
:iknowthefeelbro:
Di sicuro pecca nel rappresentare come al solito la malattia in maniera troppo pulita e asettica, con malati che sembrano sempre appena usciti dalla sala trucco, ferite perfette e totale assenza di sangue e merda.

Ma lo scopo del film non è mostrare quanto faccia schifo dal punto di vista fisico/fisiologico e possa essere ripugnante la malattia, per cui posso passarci sopra. Anche perché si riscatta evitando pietismo, scene strappalacrime (anche se un paio toccanti ci sono, ma di nuovo magari toccano me perché innestano ricordi) e non lesinando in umorismo.
A volte bisogna sentirselo dire.
Non è il film che consiglierei per una serata in allegria, ma se l’argomento per un qualsiasi motivo è di vostro interesse, potreste trovarci qualcosa di significativo.

1 commento:

Mario De Roma ha detto...

Altro clichè è l'abuso di marjuana medica californiana, che è un nuovo clichè, ma mi sa che rischiamo di trovarcela in tutti i film da ora a sempre.

O quantomeno in tutti i film con Gordon-Levitt, dato che è usata come espediente anche in Hesher.