martedì 23 luglio 2013

Super

Frank è un uomo mediocre che ha subito umiliazioni per tutta la sua vita. Le cose cambiano Quando sua moglie viene rapita dal piccolo boss della città. Convinto da una visione mistica che lo convince di essere stato scelto da Dio, si veste come un supereroe e comincia a picchiare con ferocia i piccoli criminali di zona, facendosi chiamare Crimson Bolt.


Pensavo che Super fosse una parodia o peggio una commedia con la puzza sotto il naso. Nonostante sia scritto e diretto da James Gunn, autore di Slither che ho trovato molto divertente e onesto, mi ero fatto gabbare dalla locandina in salsa Juno. Questo per dirvi che l'ho visto con un discreto pregiudizio, compreso quello verso Ellen Page
che per quanto apprezzi come capacità, mi sta sul cazzo a pelle. Il che forse è d'aiuto nel suo interpretare Boltie, l'aiutante di Crimson Bolt.


E invece Super mi è piaciuto molto. Oddio, piaciuto magari non è il temine corretto, dato che in vari passaggi mi ha trasmesso più che altro disagio e fastidio per come la violenza viene mostrata e vissuta dai personaggi. Si, ci sono momenti buffi, ma quando Crimson Bolt prende a colpi di chiave inglese i cattivi, la risata lascia quasi subito lo spazio al fastidio. Non so se si tratta di sensazioni che nascono come risposta ad anni di violenza estetizzata e laccata così vuota da non avere alcun peso emotivo, ma credo che Gunn abbia fatto un ottimo lavoro nel riportare il focus su un aspetto molto semplice: la violenza non dovrebbe sempre e solo fare ridere o essere figa.

E se all'inizio pare di essere di fronte a un film leggero, le cose si deteriorano mano a mano che Crimson Bolt fa esperienza e comincia a picchiare sempre più duro. Il gioco degli equilibri tra divertente e fastidioso riesce quasi sempre bene, e quasi sempre le cose pendono più dalla seconda parte.


In questo penso sia esemplare la scena dello stupro, che comincia come una seduzione da porno per poi colare nel territorio del torbido e del disturbante e finire letteralmente con conati di vomito e la testa nel cesso. E' fastidiosa e colpisce proprio per la messa in scena che è l'antitesi del sexy, del glamour e dell'hot a tutti i costi.

Credo che questo tipo di scelte funzioni in parte grazie al tipo di personaggi che vengono raccontati. Crimson Bolt e la sua sidekick Boltie non sono due fighi. Non sono nemmeno due sfigati che diventano fighi una volta che si mettono i costumi e combattono il crimine. Sono due derelitti che una volta indossato il costume continuano ad essere dissociati dalla realtà, senza arte ne parte, ma sfogano anni di frustrazione su criminali. Che se è vero che in alcuni casi sono davvero criminali colpevoli di reati pesanti, almeno in due casi sono solo stronzi maleducati che si ritrovano dalla parte sbagliata di una chiave inglese. E la gioia e la soddisfazione che prova il dinamico duo nel picchiarli vira nel maniacale più che nel senso di giustizia.


Sul finale pare ci sia un minimo di speranza per Crimson Bolt, ma il succo del discorso sembra più essere quello di accontentarsi del poco di buono che può capitare in un mare di umiliazioni e sofferenza. E' poco accomodante, più amaro di quanto l'inizio potrebbe far pensare, grazie anche allo staccarsi da un finale assolutorio e già visto.


Come dicevo, dire che mi sia piaciuto forse non è il termine più corretto, ma di sicuro mi ha colpito più di tanti supereroi che oltre alla tutina non hanno nulla.  

giovedì 18 luglio 2013

Bernie non farebbe mai una cosa del genere.


Bernie è così amato dai suoi concittadini che quando confessa un omicidio nessuno gli crede. La cittadinanza è così compatta che il procuratore distrettuale è costretto a spostare il processo in un'altra contea per paura che lo decretino non colpevole

Ed è una storia vera.



Attualmente Bernie risiede in un carcere Texano dove sconta la pena per l'omicidio della sua amica e capa Marge. Bernie la uccise con alcuni colpi di fucile e ne tenne nascosta la morte per alcuni mesi, macerato dal senso di colpa e dalla paura di dover confessare un delitto del genere. Il corpo venne ritrovato solo quando l'avvocato della vittima si impuntò per vederla di persona per poter discutere di questioni d'affari. La famiglia di lei non si fece quasi mai viva e il resto della cittadinanza non si pose il problema di che fine avesse fatto. Perché l'amato Bernie rassicurava tutti che Marge stava bene, e dato che era antipatica a tutti non facevano troppe domande. E tutti rimasero tanto stupiti quanto increduli una volta che venne ritrovata in un congelatore a pozzetto.



Linklater nel dirigere la pellicola ha scelto un approccio a mezza strada tra il film vero e proprio e il documentario. Così noi veniamo a conoscere buona parte della storia e della caratterizzazione dei personaggi attraverso finte interviste con i concittadini di vittima e carnefice. Ma alcune di queste finte interviste sono fatte a veri concittadini che ricordano quanto fosse accaduto e del perché sono convinti che Bernie non sia colpevole.



Il fatto è che Bernie è una persona gentile. Non è un sociopatico, non sente le voci, non è un serial killer e soprattutto non è un violento. E' una persona normale che si prodiga in tutti i modi per poter aiutare il prossimo: aiuta i ragazzi della scuola facendo il direttore dei loro musical (e ogni tanto canta con loro, graziato da una grande voce), aiuta gli amici a compilare i moduli delle tasse e a fargli risparmiare i soldi, ha una fede sincera e aiuta la sua chiesa. Soprattutto prende sul serio il suo lavoro alle pompe funebri. Non solo è bravissimo a capire quando spingere i parenti a spendere qualche dollaro in più, ma è sincero nel suo controllare che le vedove reggano bene il lutto. Ha infatti l'abitudine di confortare le sue clienti nel periodo successivo al funerale del defunto, e senza malizia. E' così che conosce Marge, la vedova più ricca e più antipatica del paese. La sorella non le parla da 30 anni e i figli e i nipoti hanno rapporti con lei solo via avvocato.

Tra Bernie e Marge nasce un'amicizia che nel tempo si attorciglia in un rapporto prima di lavoro, quando lei lo assume come tuttofare, e poi si strangola in una situazione di soffocante dipendenza. Bernie si abitua troppo bene alla vita agiata che lei gli permette, e Muriel trova in lui un dipendente da angariare con richieste di ogni tipo. Fino a che lui sbotta e la uccide, ma solo perché si trova sotto mano un fucile carico.



Non è un omicidio premeditato, è solo un attimo di rabbia che sfoga mesi e mesi di frustrazione. Bernie non lo confessa subito perché non sa come affrontare quello che potrebbero pensare gli altri, ed è terrorizzato dall'idea di finire in prigione.

Cosa che rischia di non accadere nemmeno quando lo beccano e confessa, proprio perché i suoi concittadini pensano quasi tutti una cosa: che lui sia innocente. Anzi, che sia vittima di una congiura da parte di figli e nipoti di Marge per poter agguantare l'eredita. Lui confessa, ma nessuno se la beve.



Così il procuratore distrettuale decide di spostare il processo. Di norma è una procedura che si fa quando l'accusato rischia di trovarsi una giuria pregiudizievole e ostile. Questo pare sia il primo caso in cui capiti il contrario: il procuratore teme che lo assolvano perché sono già convinti che non possa essere stato lui. E il procuratore è incredulo di questa sorta di allucinazione di massa che non riesce a spiegarsi.

E l'atmosfera del film è proprio così, un po' incredula di quanto accade e viene raccontato. Nonostante l'omicidio venga mostrato, nonostante lo spettatore sappia che Bernie ha ucciso, sa anche che è una persona buona. Così tanto che, forse per senso di colpa o altro, nei messi successivi all'omicidio e precedenti la confessione, usa molti dei soldi di Marge per aiutare la sua comunità. E' vero che non confessa e che fa di tutto per tenere la cosa nascosta, ma non fugge, non tenta di fare sparire il corpo (lo infila nel congelatore subito dopo l'omicidio e poi non riesce più a toccarlo per l'orrore che prova) e appena lo beccano confessa tutto dall'inizio alla fine.



Questo clima un po' incredibile si regge in parte sullo stile molto piano e quasi didascalico di Linklater che cozza in un certo senso con una storia un po' grottesca. Tutto viene raccontato come se non ci fosse poi niente di strano in quanto accaduto, sempre ammesso che Bernie abbia davvero ucciso Marge. E l'altro punto di forza sono le interpretazioni.

Jack Black, Shirley MacLaine e Matthew McConaughey sono rispettivamente Bernie, Marge e il viceprocuratore. E tutti e tre riescono a spingere quel tanto che basta per rendere i loro personaggi strani e un po' fuori dalle righe, ma senza mai arrivare a renderli poco credibili o parodistici. Hanno tutti modi di fare e soprattutto di essere che non sono facilmente incasellabili nella media, ma sono tutti realistici e poco credibili quanto la storia di cui sono stati protagonisti.


Mentirei se vi dicessi che il film mi ha convinto al 100%, perché ha momenti in cui per me rallenta troppo e sembra girare a vuoto, però l'ho visto da qualche mese e i suoi personaggi continuano a tornarmi in mente. Soprattutto quando per strada o nei bar incrocio o sento parlare persone che non sono facilmente incasellabili. E' un film un po' storto come certe persone.


venerdì 12 luglio 2013

In questo episodio davvero speciale di Clone High

Gandhi è un ragazzino iperattivo, dalla battuta sempre pronta, ossessionato dall’essere l’anima della festa e con la propensione a denudarsi troppo.
John Fitgerald Kennedy è un bulletto che inizia ogni anno scolastico con un solo obiettivo: trombare tutte le sue compagne. Chissà cosa ne pensano i suoi genitori adottivi, una coppia interraziale gay.
Giovanna D’Arco è in piena fase angst contro il mondo, e non aiuta il fatto che sia innamorata e non ricambiata da Abramo Lincoln.
A sinistra Abramo Lincoln, a destra Gandhi
Benvenuti a Clone High, un liceo in cui studiano cloni adolescenti di famosi personaggi storici. Creati da uno scienziato malvagio per richiesta di un gruppo di oscure figure del governo. Loro vorrebbero usarli per scopi politico-militari, a lui piacerebbe usarli per aprire un parco di divertimenti chiamato Cloney Island.
Dubito sia un piatto vegano
Clone High è un cartone animato del 2002-2003, cancellato alla prima stagione. Ed è un peccato perché i 13 episodi fanno scassare dal ridere. Perché al di là della premessa che trovo molto figa e in sapore di fantascienza, la serie è in realtà comica. Anzi, è una parodia del genere teen-drama che da Beverly Hills in poi pare non voler morire.

"Quindi spiegaci meglio la resistenza passiva"
Clone High dissacra buona parte dei cliché di quel tipo di serie. Molte hanno ad esempio almeno un episodio che in maniera più o meno dichiarata si dedica ad esempio alla droga. E Clone High ce l’ha, però si tratta del terribile flagello dell’uva sultanina da fumare, foriere non solo di dipendenza ma di viaggi allucinogeni che sfociano in scene da musical giusto un filo sopra le righe. E così via con vari episodi davvero speciali. 

Questa è Marie Curie. Ci ho messo un po' a capirla.
C’è quello sull’abuso d’alcool, l’immancabile elezione del presidente di classe (che con protagonisti JFK e Lincoln è per una volta davvero calzante), quello natalizio (che porta all’estremo l’idea di rendere le feste natalizie non-offensive per le religioni) e non può mancare l’apice di ogni anno scolastico: la sera del ballo. Gli ultimi due episodi sono dedicati al ballo (la cui location assurda è un colpo di classe) e soprattutto alla sua preparazione, con il classico montaggio in cui la tipa dimessa ma figa e il tipo nerd ma in realtà bellino vengono rimessi a nuovo da quelli che ne sanno. Ovviamente non va esattamente come al solito.

Ha in mano un martello.
Non si tratta di una serie dall’umorismo tenue, anzi. Ci sono un sacco di battute che pigiano sul cattivo gusto e sul disgusto, altre che sfociano nel surreal e nel non-sense e molte che possono essere capite se si conosce un po’ la biografia dei vari personaggi storici. Epperò penso valga la pena di guardarla perché l’attitudine dissacrante di fondo lo rende una visione molto interessante. Come dicevo l’hanno cancellata di colpo (pare che il popolo dell’India non abbia gradito la versione di Gandhi che si vede nel film. E si che tutto sommato è un personaggio positivo, oltre a essere uno dei migliori) per cui sappiate che se poi vi piace vi tocca tenervi il dubbio di come sarebbe andata avanti.

Su youtube si trova tutta, in inglese. 


martedì 2 luglio 2013

E un sacco di capelli ondulati come Liberace* - BEHIND THE CANDELABRA.

Liberace, l'originale
Behind the candelabra è un film affascinante, e a discapito del trailer e delle foto promozionali, è più sfaccettato e profondo di quanto sembri. Il che, forse, lo si poteva dire anche di Liberace, il protagonista della pellicola biografica diretta da Soderbergh, interpretato da Michael Douglas.


Immagino che molti leggendo Liberace abbiano pensato "E chi cazzo è?". E' stato uno degli entertainer più pagati di tutti i tempi, attore, cantante, presentatore di show televisivi ma soprattutto uno dei pianisti più famosi di sempre. Anzi, negli USA per parecchio Liberace era IL Pianista. Al di là del talento musicale, divenne larger than life e scelse in maniera conscia di vendere non solo le sue capacità ma se stesso come più come personaggio che come persona. Costumi sempre più eccessivi, numeri che mischiavano la musica allo show in stile las vegas, una vita vissuta all'eccesso, con spese folli, case arredate in maniera barocca ed esagerata e, alla base di tutto questo, una sessualità mai dichiarata e sempre nascosta per quanto evidente e vissuta senza vergogna ne senso di colpa.

Ed è quest'ultimo uno degli aspetti che viene affrontato nel film in maniera, pare a me si chiaro, efficace e interessante. Perché se altri autori avrebbero potuto benissimo fare un film sull'omosessualità come tema portante, Sodebergh tratta la cosa come una questione di fatto. Ci sono una persona di mezza età famosissima e dalla personalità magnetica e una persona molto giovane che si innamorano e il cui rapporto è molto molto incasinato. E la storia di come questi due si innamorino e portino avanti un rapporto che passa dall'essere molto affettuoso e di amore reciproco fino a scivolare in risentimento e dolore, mi pare sia universale al di là del genere sessuale.

Liberace, Michael Douglas

Nel film viene toccato il fatto che Liberace non dichiarò mai la sua omosessualità in vita e anzi fece causa, e vinse, contro un paio di riviste scandalistiche che lo accusarono di esserlo. E Liberace racconta al suo amante Scott di come riuscì far convivere la sua sessualità e la sua forte fede cattolica grazie a una visione mistica durante una grave malattia. Aneddoti che vengono riportati come parte di un tutto più grande e complesso.

Gorgeous George, wrestler
Mi pare insomma che nel film l'omosessualità sia data per assodata (e per nulla giudicata in senso positivo o negativo dagli autori) e che, per una volta, ci si concentri più sugli altri aspetti di questo rapporto.

Rapporto in cui l'estetica, o forse meglio il look, ha un peso fondamentale. Liberace decide in maniera molto conscia e pragmatica di creare se stesso per poter avere successo nei concerti dal vivo e in televisione. Come moltissimi personaggi dello spettacolo, è ossessionato dall'idea di invecchiare, di morire e di essere dimenticato. Quindi la chirurgia estetica, quindi i parrucchini (grande scena quando Scott scopre, solo dopo settimane di sesso, che Liberace è proprietario di uno skullet), quindi un impianto al pene per poter soddisfare il suo desiderio sessuale. Quindi la ricerca di amanti giovani e vitali. Uno di questi si chiama Scott Torton, con cui intesse una lunghissima storia, interpretato da Matt Damon.

Ric Flaier, wrestler
Niente di strano per la media delle star dell'intrattenimento. Però il tutto prende un'altra piega grazie a due momenti che sfociano nel disturbante. Dopo aver fatto sesso, Liberace confessa a Scott il suo desiderio di adottarlo. Tecnica in uso quando il matrimonio tra omosessuali non era possibile e si cercava in qualche modo di poter tutelare il proprio amato. E' però la scelta dei termini di Liberace a colpire "Voglio essere tuo amante, amico, confidente e padre". Un sentimento più vicino al desiderio di controllo e possesso che di amore e amicizia.

Sting, wrestler
Che viene sottolineato da una richiesta di Liberace: vuole che Scott si sottoponga a un'operazione di chirurgia estetica, non tanto per ringiovanirlo dato che è già giovane, ma per renderlo più simile a Liberace stesso. Magari ci leggo troppo, ma l'idea di un uomo che desidera fare sesso con una versione più giovane di se la trovo molto potente e perfetta per definire in pochi secondi tutta la personalità strabordante e bulimica di Liberace. Ma anche quella di Scott che, pure se in maniera poco convinta, accetta. Per trovarsi però anni dopo a urlare "Si è rubato anche la mia fottuta faccia!", quando le cose tra i due sono ormai risolvibili solo per vie legali.

Mohammed Alì, pugile
Tutto materiale ad alto rischio di ridicolo involontario. Però credo che Sodebergh riesca sempre a mantenersi un passo o due al di qua di questo pericolo, riuscendo semmai a far passare un'idea di quanto possa essere grottesca una vita vissuta nell'ossessione di un'ideale di bellezza inarrivabile a cui si tenta comunque in ogni modo di avvicinarsi. E in questo mi pare aiuti molto la scelta di rendere davvero ridicolo per quanto un filo inquietante solo uno dei personaggi secondari, il chirurgo estetico di Liberace, che lavorerà (e renderà dipendente da anfetamine) Scott, interpretato da Rob Lowe. Un uomo così tirato da non aver praticamente alcuna espressione ed essere ridotto a una maschera senza vita. Dotato comunque di un senso pratico e imprenditoriale eccellente. Dopo aver liftato Liberace, il pianista si rende conto di non riuscire più a chiudere del tutto gli occhi. Il buon chirurgo gli risponde "Tranquillo, così potrai vedere le espressioni di meraviglia di chi ti vedrà così meraviglioso". Che sarebbe ridicolo se non fosse una tragica costante della realtà del mondo dello spettacolo.

Goldust, wrestler
E a proposito di personaggi di contorno, gli attori secondari fanno tutti un gran lavoro. Dan Aykroid interpreta il manager di Liberace, Scott Bakula uno dei primi amanti di Scott che lo introduce a al pianista. Però personalmente ho apprezzato molto la meravigliosa Debbie Reynolds nella parte della madre di Liberace, così piccolina, dalla voce delicata e dalle movenze lente e trattenute, contrasta in maniera pesantissima il ruolo fondamentale e dominante che la madre ha avuto sulla vita del pianista. Quando Scott chiede a Liberace come si sente dopo il funerale della madre, lui risponde "Finalmente sono libero" e non aggiunge altro e l'argomento non viene più affrontato.

Se i coprotagonisti e le comparse funzionano alla grande, sono Michael Douglas e Matt Damon ad essere strepitosi. I due sanno calarsi nei panni dei personaggi, mostrandone sfumature diverse a seconda delle situazioni e tirando fuori piccoli gesti e un grande uso della voce. Douglas, che riesce a toccare il tono e il peculiare modo di parlare di Liberace ma senza cadere nella parodia, dandogli a seconda della situazione calore, desiderio o la freddezza del consumato showman. Colpisce poi il modo in cui i due riescono a mostrarsi spesso nudi in scene di intimità, sia che si tratti di sesso o di momenti di tenerezza, evitando cliché e pose da macho.

Bobbie Roode, wrestler
In questo trovo eccezionale Michael Douglas che fa vedere tutti i suoi sessanta e passa anni, con muscoli avvizziti e pettorale cadente. Una scelta ottima mostrare così tanto Liberace nudo o quasi, che contrasta con l'uomo sul palco che non può permettersi di invecchiare e perdere la sua immagine. E credo che queste scene di intimità tra i due, sia quando la storia sta cominciando e l'amore sboccia sia andando avanti tra litigi e riappacificazioni, funzionino bene perché Sodebergh riesce a mostrarceli senza sottintesi pruriginosi o ammiccanti. In queste scene intime escono sempre le due personalità che si amano anche nel contrasto: pieno di esperienza e carisma Liberace, sempre in rincorsa e meno sicuro di se stesso Scott che si trova suo malgrado rinchiuso in un rapporto che diventa più di dipendenza e da dipendente che da amante e amato. Però sempre innamorato, basandoci su quanto passa per la sua testa durante il funerale di Liberace, che muore per complicanze legate all'AIDS nel 1986. Un ultimo dialogo tra i due immaginato da Scott, una dichiarazione di amore tra le musiche del palco durante l'ascensione di Liberace al cielo.

Mohammed Alì, Liberace, Hulk Hogan. Liberace fu il timekeeper del primo Wrestlemania** di sempre.

Insomma credo sia un film dotato di vari spunti interessanti e non solo una biopic, o solo una storia d'amore o solo un dramma. Credo abbia un po' di tutto, compresi passaggi che non sfigurerebbero in qualche thriller psicologico e altri perfetti per una commedia sofisticata. Il tutto, incredibilmente, mantenendo una coerenza di fondo grazie alla capacità di Sodebergh di sfumare il tono della storia a seconda di quanto succeda ai personaggi. A tratti eccessivo, ma dopotutto è un film su Liberace che soleva dire "Si dice che troppo di una cosa buona faccia male. Io dico che troppo di una cosa buona sia meraviglioso!".


*Il titolo del post è un verso della canzone Mr. Sandman delle The Chordettes, di cui vi agevolo il video. E' solo uno degli esempi di come Liberace sia entrato nell'immaginario collettivo americano.



** Wrestlemania è lo show di wrestling più importante della maggiore promozione americana, la WWE. E' lo spettacolo che ha ridato vita al wrestling come icona pop americana.