martedì 5 maggio 2015

Triple Threat Watch: Mad Max - Interceptor, o del raccontare tanto dicendo poco

Triple Threat Watch: in cui vi parlo di tre film in qualche modo collegati tra loro. Qua trovate l'intro al TTW, e qua sotto la prima entrata, dedicata a Mad Max del 1979.

Rivedendo Mad Max per l’ennesima volta mi ha colpito come un film dalla trama così esile e dalla sceneggiatura non proprio eccelsa abbia creato, grazie soprattutto al suo sequel, un intero sottogenere dell’immaginario che a distanza di oltre 30 anni è ancora ben piantato nella testa mia e di molti appassionati. E a proposito della trama: in questo e nei post successivi ne parlo supponendo lo abbiate visto. Per altro nel caso non lo abbiate visto sono abbastanza convinto che leggere i miei post non vi rovinerà l’eventuale visione delle pellicole. Non tanto perché sono un funambolo della parola che sa evitare spoiler grossi e farvi scimmiare comunque, ma piuttosto perché le trame dei film sono davvero un’ossatura molto snella e lineare.

  
Mad Max, secondo me, non sta in piedi per un’intricata e ben rodata sceneggiatura, nemmeno per una cosmogonia piena di particolari e neppure per uno word building complesso e ricco. Al contrario, credo che il fascino di questo universo narrativo risieda proprio nelle capacità di George Miller di creare un universo che affascina molti grazie al suo dire e definire poche cose e lasciare poi allo spettatore il compito di unire i punti e perdersi, a vagare a bordo di un auto dal motore potenziato o in sella a una moto fatta con pezzi vari tra le macerie della società prossimo futura.

Penso ad esempio a come il primo film, uscito nel ’79, non si preoccupi eccessivamente di spiegarci come mai la società australiana sia arrivata a un passo dal collasso economico. Intuiamo che c’è stata una crisi energetica ed economica, a cui sono seguite l’aumento di crimine e violenza. Ora le strade sono per larga parte in mano a gang di motociclisti che la sparuta polizia a cavall… in macchina riesce a tenere a bada poco e male. Certe cose colpiscono per la loro assenza: lo Stato non si sa bene da chi e come venga tenuto in piedi. L’unico rappresentante della burocrazia che vediamo è un non proprio ben specificato passacarte, vestito con una corazza da kendo e armato di katana, per nulla intimidatorio e quasi ridicolo nel suo scarso potere decisionale.


E questo personaggio, che appare e scompare nel giro di pochi minuti, mostra uno dei punti di forza della pellicola e di quanto sia capace Miller nel racconto visivo: pochi particolari nel vestiario, la scelta di un’ottima faccia ed ecco che un personaggio risulta perfetto, in questo mondo in cui le regole stanno cadendo e anche il senso della normalità pare ormai non interessi a nessuno.

Pensate anche al capo della polizia: un energumeno di due metri, calvo, coi baffi a manubrio, con l’abitudine di stare a torso nudo, e di nome Fifi. Un uomo tutto di un pezzo ma disperato nel suo riuscire a tenere a bada le gang, tanto da dare praticamente carta bianca ai suoi uomini quando si tratta di trovare il modo di portarli dentro, o eliminarli e basta. Uno sfumare delle regole del gioco tra gang e polizia che non sfugge al protagonista. In uno dei rari momenti di riflessione del film, Max dice “Ascoltami, è quel circo di freak la fuori, Fifi, sta cominciando a piacermi. Se passo ancora del tempo la fuori diventerò uno di loro, uno psicopatico terminale, solo che ho questo distintivo di bronzo a dire che sono uno dei buoni.”



Ed è quello che succede, sottolineando come Max non sia un eroe. Anzi, nel momento in cui la sua squadra ha più bisogno di lui, dopo che il suo compagno è stato ucciso dalla gang di motociclisti capitana da Toecutter, Max scappa. Si, lo fa perché teme di diventare quello che combatte, ma il punto rimane: non ci sono eroi su queste strade. E quando torna per vendicarsi non è un poliziotto, è un vigilante senza distintivo in cerca di vendetta e punizione. Per certi versi la frase delirante che apre il film urlata a squarciagola dal Nightrider, criminale in fuga suicida, si applica anche a Max “I am the Nightrider. I’m a fuel injected suicide machine. I am the rocker, I am the roller, I am the out-of-controller!”, solo che Max è andato oltre e non mostra la minima emozione quando da la caccia ai cattivi e compie la sua vendetta.

Se Max ha il suo fascino nel carattere e nell’evoluzione della sua personalità, risulta quasi banale dal punto di vista visivo, in una storia costellata da personaggi che colpiscono l’occhio in un modo o nell’altro. Toecutter grazie al suo ciuffo ribelle e all’interpretazione shakespiriana si mangia la scena ogni volta che apre bocca, e a volte gli bastano pure le movenze improvvise da animale o il suo soffiare da gatto. Pure i suoi compari rimangono in mente, come Bubba, pallido ed emaciato, col suo capello biondo e il fare geloso nel confronto del membro della gang che li inguaia non sapendosi frenare durante uno stupro di gruppo. Un rapporto tra i vari membri della gang che ha più di qualche sottinteso gay che verrà ancora più sottolineato nella seconda pellicola ma che qui rimane più o meno nel non detto. Per quanto in quest’ennesima visione mi sia venuto il dubbio che a venire stuprato non sia stata la ragazza ma il di lei fidanzato.


Pure i personaggi minori, come la vecchia May che, nonostante le gambe malandate tenute su da due tutori rugginosi (e una gamba davvero rotta, per la povera attrice), si arma di grosso fucile a pallettoni per cercare di salvare la moglie di Max. O figlioletto di lei, un gigante con problemi mentali che appare per pochi minuti pur non avendo un ruolo davvero necessario, ma andando ad aumentare quel senso di angoscia e di stramberia che pervade il film.
Ma se le persone colpiscono, in Mad Max sono anche i veicoli a lasciare il segno. Le auto della polizia coi loro colori francamente agghiaccianti non possono passare inosservate, così come le moto della gang che rombano per ogni dove e si mostrano compagne perfette per gli stunt. La regina incontrastata è però ovviamente l’auto di Max, l’Interceptor nera che ha mandato in visibilio i guidatori di tutto il globo e che si è conquistata il suo posto nel gotha delle auto del cinema. Mezzi, uomini e trama da soli non farebbero comunque il film se non fosse per regia e montaggio di Miller che frullano tutti questi elementi prima di lanciarli in faccia allo spettatore facendogli scappare gli occhi fuori dalle orbite.

Sono convinto che gli inseguimenti e gli stunt reggano molto bene il passare del tempo, sia perché A) si capisce tutto quanto succede (che oggigiorno pare quasi una chimera) e B) dato il tipo di storia credo che stunt e inseguimenti abbiano davvero il loro senso narrativo. Poliziotti e criminali vivono il rapporto con i propri mezzi in maniera quasi carnale: avere un motore sotto il culo o in mezzo alle gambe equivale a poter sopravvivere e per avere pezzi di ricambio o benzina uccidere sembra la cosa ovvia da fare. Con ste premesse gli inseguimenti assumono quasi il senso di duelli, se possiamo considerare duelli dei frontali tra uomini che hanno perso praticamente ogni freno inibitore e sulla morale ci hanno sgommato facendoci gli otto col battistrada.


Però non tutto fila liscio. Una cosa che mi ha colpito e che non ricordavo affatto sono le accelerazioni della pellicola inserite proprio in alcune scene d’inseguimento. Ecco, forse all’epoca funzionavano ma ora siamo a un passo dalle scene di inseguimento dii Benny Hill con lo Yakety Sax in sottofondo. Poca roba ma abbastanza da incrinare l’infottamento derivato dall’azione, sempre ad altissimi livelli. E pure la parte centrale del film, il momento in cui Max decide di andare in ferie e ricaricarsi, cercando magari rifugio con moglie e figlio, risulta un po’ moscio. Certo, vedere l’idillio prima della carneficina ha il suo senso nel rendere più sfaccettato Max e caricare di pathos la sua scelta di calarsi nella follia della vendetta, ma un pochino due palle te le fai.


Ma si tratta di particolari che io trovo di secondo piano, di fronte a una serie di intuizioni che verranno sviluppate, meglio per altro, nei film successivi e a un generale senso di disagio, ferocia e nichilismo che lo rendono un film invecchiato comunque bene. Certo, io preferisco di gran lunga il secondo, di cui però vi parlerò domani. Vi lascio con un bonus musicale, che non è tratto dal film, anche perché è una canzone del 1998. E che c’entra? Basta vedere i primi 40 secondi del video per capirlo.







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